martedì 23 febbraio 2010

SAN BASILE. Storia di un Paese.




Fondato da una comunità di albanesi verso il 1475-1480, venuti in Italia al seguito di Giorgio Castriota Skanderbeg, sorse intorno al Cenobio di San Basile Craterese da cui deriva anche il nome, e popolò intorno al monastero basiliano oggi Santuario di Santa Maria Odigitria uno dei soli tre monasteri di rito greco esistenti in Italia.

Si dice che uno dei monti che sovrasta il santuario sia il cratere di un vulcano, da qui la denominazione "craterese" data anticamente al Monastero di San Basilio (secondo il prof. B. Cappelli "craterese" da crateròs, il forte, il potente: attributo per San Basilio il Grande).

Proprio per le sue origini la maggioranza della popolazione parla la lingua albanese e professa la religione cattolica con rito greco-bizantino.

Fu feudo dei duchi di Castrovillari, di Nicola Integrato da Cariati e di Francesco Campolungo di Altomonte.

Nel 1617 passò al duca di Saracena, quindi, all'abate di Castrovillari e in fine, ai principi di Scalea.

Tra i suoi figli più illustri ricordiamo: Pietro Bellizzi (sec.XVIII) sacerdote e poeta; Costantino Bellizzi, eroe risorgimentale.

Gli abitanti si chiamano Sanbasiliani.

Il Monastero di Santa Maria Odigitria è la continuazione dell'antico monastero di San Basilio Craterese, fondato tra la fine del X secolo e l'inizio dell'XI.

Sorge in una panoramica posizione alle pendici di monti boscosi tra il maestoso massiccio del Pollino a nord e la sottostante piana di Sibari ad est.

La Chiesa di San Giovanni Battista è stata costruita dopo la venuta degli albanesi, verso la metà del XVIII secolo, precisamente nel 1791 come testimonia la data che si trova scolpita sul cornicione dell'edificio stesso.

Secondo le testimonianze orali, fu edificato dalle maestranze locali e dagli abitanti del paese, che per giorni trasportarono i materiali utilizzati.

Lavori ben più ampi furono eseguiti sulla costruzione per interessamento della Curia Vescovile di Cassano da cui San Basile dipendeva, per questo motivo, lo stile della Chiesa non è bizantino, ma barocco.

L'esterno dell'edificio, si mostra semplice, con un campanile non molto alto, dotato di campane costruite nel 1500, sicuramente appartenute al Monastero di Colloreto.

L'ingresso principale è costituito da tre porte di legno, opera di artigianato locale.

La planimetria della Chiesa è a croce latina con tre navate e con l'altare maggiore posto sotto l'arco trionfale.

L'architettura interna è tipicamente barocca con fregi e figure angeliche .

domenica 21 febbraio 2010

IL VERO " NOME " DI DIO.



Enzo Bianchi Priore di Bose.

1 - I GRANDI MAESTRI DELLO SPIRITO
IL PADRE NOSTRO COMPENDIO DI TUTTO IL VANGELO

IL VERO "NOME" DI DIO

Abba, papà. È una preghiera dal valore universale: oltre ai cristiani potrebbero recitarla anche ebrei e musulmani. Il libro di Enzo Bianchi priore di Bose, inaugura la nostra nuova serie di allegati.

Breve ed essenziale, poche righe appena, senza ombra di retorica e con parole scelte con cura, non una di troppo. È il Padre nostro, la sola preghiera che Gesù lascia agli apostoli e ai discepoli che gli sono accanto.

Il monaco Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose e fecondo scrittore, la spiega in un libro il cui sottotitolo riprende una celebre espressione di Tertulliano (un teologo nato a Cartagine e vissuto tra il 155 e il 230 circa) che la definì breviarium totius Evangelii, ovvero "compendio di tutto il Vangelo", di cui è buona sintesi.

Originario del Monferrato (è nato, infatti, a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943), laureatosi in Economia e commercio presso l’Università di Torino, alla fine del 1965 Enzo Bianchi si reca a Bose, una frazione allora abbandonata del comune di Magnano, in provincia di Biella, sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica che prende forma nel 1968 e che, oggi, conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle provenienti da cinque Paesi.

- Come definire il Padre nostro?

«È la preghiera che caratterizza ogni età della vita. Penso alla mia esperienza personale. Lo recitavo da bambino al mattino e alla sera, prima ancora di andare alle elementari. Oggi, monaco, lo prego a Lodi, Ora Media e Vespri, lo dico durante la Messa, mi affiora spontaneamente sulle labbra quando entro in una sperduta chiesetta di campagna o nella cattedrale di una chiassosa metropoli. E quante volte, sin da quand’ero ragazzino, l’ho sentito recitare, con un fil di voce, sempre più spenta, da persone in punto di morte».

- Per la prima volta ci si rivolge a Dio chiamandolo padre...

«Non ripetiamo errori antichi».

- Cosa intende dire?

«Non è corretto affermare che Gesù compie un taglio netto con il passato perché già gli Ebrei pregavano Dio chiamandolo avinu, cioè padre nostro. Semmai, Gesù introduce un termine più intimo, più affettuoso: abba, che significa papà, babbo».

- Perché solo due evangelisti su quattro ci raccontano la "consegna" del Padre nostro?

«Perché solo Matteo e Luca presentano Gesù a partire dai suoi grandi discorsi. Per Marco, la vita di Cristo è soprattutto un intreccio salvifico di eventi e di fatti, tutt’al più di parabole. Quello di Giovanni, infine, è il "vangelo altro", è meditazione pura».

- Nel suo libro esamina anche un testo poco conosciuto, Didaché.

«Si tratta di uno scritto antichissimo, che risale al primo secolo dopo Cristo ed è quasi contemporaneo dei Vangeli di Matteo, Marco e Luca, redatto da qualcuno che aveva seguito le predicazioni di Gesù. Didaché si traduce con il termine dottrina. Ci trasmette cose essenziali circa la vita quotidiana delle prime comunità cristiane e il loro modo di pregare. Anche lì troviamo la preghiera del Padre nostro».

- Il Padre nostro è patrimonio comune di tutti i cristiani, cattolici, protestanti e ortodossi...

«Sì. Risale certamente a Gesù e ne è prova il fatto che non contiene tracce di fede post-pasquale. Tra gli esegeti c’è chi vede nel Padre nostro una semplice traccia, una matrice, un canovaccio consegnato da Gesù ai suoi discepoli; c’è chi lo giudica il canone di ogni preghiera liturgica cristiana; c’è chi considera primitiva la formulazione di Luca o, viceversa, quella di Matteo e, di conseguenza, un restringimento o un ampliamento quella dell’altro. Queste differenti ipotesi non inficiano la comprensione profonda del Padre nostro: è una parola di Gesù che ha dato un frutto assolutamente autentico il quale, a seconda del terreno in cui è caduta, presenta grandezza, colore e sapore diversificati».

- Lei insiste molto sull’universalità del Padre nostro...

«Gesù proveniva da un popolo che sapeva pregare. Nel Padre nostro si riconosce la matrice orante di Israele; anche un ebreo potrebbe recitarlo, perché esso è conforme alla fede e all’attesa del suo popolo. Dico di più: il Pater potrebbe essere pregato anche da un musulmano, oppure da un credente di un’altra tradizione religiosa, perché si tratta di una preghiera rivolta a Dio con fiducia. Le domande in esso contenute sono quelle di ogni credente: pane, perdono, liberazione dalla prova e dal male. Rivela ciò di cui l’uomo ha bisogno, ciò che è veramente importante per la sua vita, e dunque ciò che chiunque di noi può chiedere con filiale abbandono a Dio, nella sua preghiera».

di Alberto Chiara